Elena Cossu

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Roma, Roma, Italy
Psicologa iscritta all'Ordine degli Psicologi del Lazio con N° 19999. Psicoterapeuta Gestalt Analitica presso Il Centro Studi Psicosomatica, (CSP,IGA) Ha conseguito la Laurea Magistrale in Neuroscienze Cognitive e Riabilitazione Psicologica presso l'Università degli studi di Roma La Sapienza. Ha svolto un Master biennale in Sessuologia Clinica e Criminologica presso l'Associazione Italiana di Sessuologia Clinica.

domenica 1 dicembre 2013

La dipendenza invisibile: quando non si vive senza l' "Altro"

La Relazione di Dipendenza Primaria
L’essere umano alla nascita non è in grado di autoregolarsi, ossia non è in condizioni di poter provvedere a sé stesso ed ai propri bisogni in maniera autonoma, ed è pertanto completamente dipendente dalle cure di un altro individuo, il caregiver solitamente la madre. La qualità della risposta materna è fondamentale al fine di garantire all’individuo un sano sviluppo psicofisico che gli permetta la costruzione di rappresentazioni positive di se (Modelli Operativi Interni) che attraverso la sicurezza di base e la fiducia nell’ambiente esterno gli permetteranno di instaurare relazioni sane in futuro. Quindi nello specifico le modalità di Attaccamento che l’individuo sviluppa dipendono dalla qualità di questa prima interazione tra madre e figlio, Bowlby (1980). Quando i bisogni del bambino vengono soddisfatti in maniera adeguata si struttura un attaccamento sicuro che permetterà la capacità di esplorare il mondo esterno in maniera autonoma e costruttiva. Al contrario quando questo non si verifica l’individuo sarà diffidente o estremamente richiedente nei confronti dell’ambiente esterno, negando e non riconoscendo i propri bisogni nel primo caso, o concentrandosi esclusivamente alla soddisfazione di questi nel secondo. È da queste due condizioni di attaccamento insicuro che è possibile ricondurre lo sviluppo arcaico della dipendenza patologica come mancato sviluppo di un Sé integro, come mancanza di fiducia di base in se stessi, e di conseguenza come una mancata resilienza agli stress ambientali. 

La dipendenza patologica
Con il termine dipendenza patologica definiamo la messa in atto di un meccanismo coercitivo e ripetitivo dell’uso compulsivo di una sostanza, di un oggetto o di un comportamento. Questo meccanismo nasce da una mancanza del Sé e viene compensata dalla ricerca spasmodica dell’oggetto di dipendenza alleviando cosi il dolore originario. Peele (1985) evidenzia che la dipendenza può scaturire da qualsiasi esperienza la cui sensorialità ha lo scopo di alleviare il dolore, l’ansia o altri stati emotivi negativi attraverso una diminuzione della coscienza che permette un controllo illusorio del dolore legato al bisogno di “farsi del bene”. Pertanto tutte le esperienze efficaci nell’alleviare il dolore possono essere fonte di dipendenza.
I meccanismi fisiopatologici della dipendenza comprendono il Craving ossia l'attrazione ossessiva verso un determinato comportamento, oggetto o sostanza che crea la perdita del controllo ed  un immediato rinforzo positivo determinato dalla soddisfazione immediata del bisogno. Avviene un alterazione dei circuiti neurali deputati al controllo e alla gestione del piacere; la Tolleranza ed Assuefazione è dovuta al tentativo cerebrale di compensare gli effetti del comportamento abusante producendo una diminuzione della risposata e quindi la necessità di aumentare il comportamento e il rinforzo associato; infine l'Astinenza è la comparsa di sintomi opposti a quelli indotti dal comportamento dipendente.
I meccanismi psicopatologici riguardano invece l'Ossessività, ossia pensieri e immagini ricorsivi, intrusivi che causano marcato disagio; l'Impulsività ossia l'incapacità di resistere all'impulso di mettere un atto il comportamento di dipendenza; e la Compulsività che riguarda comportamenti di dipendenza ripetitivi che la persona si sente obbligata a mettere in atto, anche contro la sua stessa volontà, nonostante le possibili conseguenze negative, per alleviare il disagio percepito.
I fenomeni della dipendenza sono situati lungo un continuum che va dal normale al patologico. Ad un estremo ci sono i comportamenti di dipendenza morbosa caratterizzati appunto dal craving, dalla tolleranza e dall’astinenza. Seguono stati di dipendenza che riguardano sostanze oggetti o comportamenti che non influenzano la cognizione, l’affettività e la volontà. All’altro estremo abbiamo stati motivazionali e sensoriali che non hanno nulla a che fare con il bisogno di alleviare una sofferenza.

Disturbo di Personalità Dipendente
•Il DSM-IV tr descrive il Disturbo di Personalità Dipendente come Una situazione pervasiva ed eccessiva di necessità di essere accuditi, che determina comportamento sottomesso e dipendente e timore della separazione, che compare nella prima età adulta ed è presente in una varietà di contesti, come indicato da cinque (o più) dei seguenti elementi: 
1) ha difficoltà a prendere le decisioni quotidiane senza richiedere una eccessiva quantità di consigli e rassicurazioni
2) ha bisogno che altri si assumano le responsabilità per la maggior parte dei settori della sua vita
3) ha difficoltà ad esprimere disaccordo verso gli altri per il timore di perdere supporto o approvazione. Nota: non includere timori realistici di punizioni
4) ha difficoltà ad iniziare progetti o a fare cose autonomamente (per una mancanza di fiducia nel proprio giudizio o nelle proprie capacità piuttosto che per mancanza di motivazione o di energia)
5) può giungere a qualsiasi cosa pur di ottenere accudimento e supporto da altri, fino al punto di offrirsi per compiti spiacevoli
6) si sente a disagio o indifeso quando è solo per timori esagerati di essere incapace di provvedere a se stesso
7) quando termina una relazione stretta, ricerca urgentemente un'altra relazione come fonte di accudimento e di supporto
8) si preoccupa in modo non realistico di essere lasciato a provvedere a se stesso.

Il Dipendente Affettivo
Una particolare forma di DPD si incentra sulla relazione per cui viene espresso esclusivamente nella dipendenza affettiva verso il partner.   Questa dipendenza è caratterizzata da:
•Forte necessità di stare con il partner, intolleranza alla solitudine.
•Bassa autostima, che provoca a sua volta una costante necessità di approvazione da parte degli altri, così pure come un grande timore del rifiuto e dell’esclusione sociale.
•Notevole difficoltà a dire di “no”: si antepongono continuamente i desideri e i bisogni degli altri ai propri.
•Il dipendente affettivo generalmente occupa una posizione inferiore (one down) nel rapporto di coppia, sebbene questo non escluda che possa succedere il contrario.
• Sentimenti non risolti di colpa, rabbia, risentimento, isolamento e paura. 

Il Codipendente
Con questo termini si indica essenzialmente la dipendenza da una persona a sua volta dipendente o abusante che si esplicita nel bisogno di controllare il comportamento patologico di un altro individuo. Principali caratteristiche sono:
•cercano la felicità fuori da sé, concentrano la loro vita sugli altri
•aiutano gli altri invece che se stessi
•desiderano la stima e l'amore degli altri
•controllano i comportamenti altrui, ne anticipano i bisogni
•sono attratte dalle persone bisognose d'aiuto
•attribuiscono agli altri il proprio malessere
•si sentono responsabili del comportamento altrui
•avvertono sintomi d'ansia e depressione
•hanno una paura ossessiva di perdere l'altro
•sviluppano sensi di colpa per i comportamenti sbagliati dell'altro

 Similitudini e Differenze
È necessario specificare che sebbene tutti i comportamenti di dipendenza derivino da, come abbiamo visto, una particolare struttura di personalità a sua volta dovuta da una non integrazione e strutturazione solida del sé derivante da modelli di attaccamento disfunzionali, nel particolare quello che differenzia il dipendente affettivo dal codipendente è la scelta del partner: quest’ultimo dipenderà sempre e solo da un altro individuo altrettanto dipendente abusante o in ogni caso problematico, ciò non è vero per il dipendente affettivo che può invece relazionarsi con una persona “sana”.

Nuove Dipendenze:  Tossicomanie Oggettuali
Nella società odierna oltre alle dipendenze “classiche” e maggiormente diffuse quali la dipendenza da sostanze stupefacenti e alcol, si sta delineando in misura sempre maggiore un gruppo di dipendenze che coinvolgono oggetti e comportamenti normali presenti nella vita quotidiana. Tale fenomeno può essere definito “tossicomania oggettuale” e comprende fenomeni quali la dipendenza da sesso, nuove tecnologie, gioco d’azzardo, shopping compulsivo e lavoro ecc. Il comportamento di dipendenza (a priori da quale ne sia l’oggetto specifico) viene messo in atto da soggetti che tentano di evadere da una condizione di profondo disagio che riscontrano nella realtà. Per individui che presentano una carenza nella struttura di base dell’Io per cui non sono in grado, da soli, di reggere e modificare una realtà negativa, la dipendenza diviene lo strumento attraverso il quale sperimentare sensazioni di gratificazione immediata e benessere dati dalla scissione del reale, dall’immersione momentanea in altro da sé, che diviene però il centro preponderante dell’esistenza.
In ultimo è necessario fare una considerazione su come la nostra società sia improntata alla negazione di qualsiasi dolore, siamo educati a nascondere le emozioni negative ad anestetizzarle piuttosto che viverle come parte della complessità, fatta di opposti, che invece ci caratterizza come esseri umani. In questo modo viene repressa la capacità di elaborare il male e di superare realmente il dolore. Viene eliminata la possibilità di rendere il negativo positivo, di costruire attraverso le esperienze dolorose una capacità nuova di affrontare le dinamiche della vita quotidiana. 
 
Uscire dalla Dipendenza: Processi Terapeutici
Il dipendente non essendo in grado di gestire e di integrare le proprie emozioni ha imparato a reprimerle non vivendo sentimenti negativi di vergogna e senso di colpa derivanti dalla propria perdita di stima e alla perdita graduale dell'integrazione sociale. Da un punto di vista cognitivo ha sviluppato convinzioni disfunzionali rispetto a se stesso e ai propri bisogni che ha sostituito con gli oggetti di dipendenza che diventano l'unica fonte di sicurezza relazionale, pertanto il soggetto dipendente non è in grado di costruire una relazione reale con un altro significativo perché egli è privo della fiducia di base. La fiducia di essere degno di amore e rispetto. Attraverso la relazione con il terapeuta è necessario ricostruire quella fiducia di base, è necessario far emergere gli aspetti emotivi legati alla dipendenza e renderli consapevoli, portare il soggetto a riconoscere i veri bisogni, considerando il proprio valore personale. Prendere contatto con il senso di abbandono rintracciando esperienze pregresse da cui è scaturito, riflettendo sulla funzione difensiva che ha avuto la dipendenza. L’obiettivo primario è quindi quello di portare il paziente a dare spazio al vero sé iniziando a prendersi cura di se e darsi la possibilità di relazionarsi con un altro significativo in maniera sana.

Bibliografia
“Psichiatria Psicodinamica, Glen O. Gabbard Raffaello Cortina Editore 2007”
“Fisiologia del Comportamento, Neil R. Carlson Piccin 2002”


domenica 13 ottobre 2013

Autoerotismo e/o Masturbazione

La masturbazione è una pratica autoerotica consistente nella sollecitazione volontaria degli organi genitali, o di altre parti del corpo, allo scopo di ottenere piacere. È interessante osservare come l’etimologia dei termini “autoerotismo” e “Masturbazione” possano essere ricondotti alla dicotomia concettuale che si è creata a livello storico tra un’accezione positiva/negativa. Infatti: l’autoerotismo concerne l’amore per se stessi, il desiderio e la passione vissuti solitariamente (dal greco Autos = solitario Eros = amore appassionato/desiderio sessuale) mentre la masturbazione riconduce a qualcosa di sporco, disonorevole (dal latino Manu = mano Stuprare = disonorare/violare). Quindi nell’antichità la masturbazione era una pratica normale: i Greci la ritenevano un atto naturale; per gli antichi Egizi il dio Atum masturbandosi diede vita ai primi essere viventi con il suo sperma; mentre Galeno consigliava agli uomini di masturbarsi per regolare i fluidi corporei e alle donne curare i disturbi nervosi. È solo a partire dall’interpretazione cattolica di un passo della Bibbia che si parla di masturbazione in termini negativi : Onan, figlio di Giuda sposò la vedova di suo fratello. Secondo la legge di allora i figli che sarebbero venuti da questa unione non sarebbero stati considerati suoi, ma del fratello defunto. Egli si rifiutò di procreare, applicando un metodo anticoncezionale ai suoi rapporti, il coito interrotto: disperdeva per terra il proprio seme. Per questo fu punito da Dio con la morte. Nel 1758 Samuel Auguste Tissot con il suo libro “Onanisme” (L’onanismo ovvero dissertazioni sopra le malattie cagionate dalle polluzioni volontarie) fu alla base di molte superstizioni pseudoscientifiche riprese da numerosi medici e scienziati per i due secoli successivi, che hanno collegato la masturbazione ad ogni sorta di malattia: febbri, cecità, pustole, epilessia ed anche la morte. Il senso di colpa e peccato associati alle pratiche masturbatorie perdurano sino in tempi recenti: è solo all’inizio del ‘900 con la nascita della Sessuologia segnata dal Rapporto Kinsey e dalle ricerche di Master e Jhonson che quest’atteggiamento negativo viene abbandonato riportando la masturbazione alla sua accezione originale di autoerotismo e quindi di amore solitario e impulso sessuale appagato tramite la stimolazione del proprio corpo.

Pratiche Masturbatorie
È necessario sottolineare che essendo la masturbazione un aspetto fondante della sessualità va considerata nella sua dimensione più individuale e pertanto per ognuno può essere praticata in modalità differenti a seconda delle proprie personali esigenze. 
Tra le pratiche più diffuse troviamo:
- Manipolazione del proprio seno, dell’ano e/o di altre parti del corpo.
- In alcuni casi viene praticata anche la penetrazione anale con le proprie dita o altri oggetti.
- Masturbazione mediante pressione delle cosce senza l’uso delle mani.
- Masturbazione mediante strofinamento dei genitali contro mobili e oggetti vari.
- Masturbazione mediante strumenti di piacere o sex toys (più diffuso tra le donne che tra gli uomini).
- Masturbazione reciproca tra partners etero o omosessuali, quale preludio, postludio o sostituto del coito.

Stereotipi Odierni
La tematica dell’autoerotismo è ancora fonte di imbarazzo e vi è difficoltà ad affrontarla in quanto vissuta come un tabù con conseguente senso di colpa, viene inoltre associata a tutta una serie di stereotipi che contribuiscono ad un alone di ambiguità e diniego che persistono nella cultura e società odierna. Tra i più frequenti:
“E’ normale che l’uomo si masturbi, la donna no”
“Se si è soddisfatti in una relazione sessuale stabile la masturbazione non è necessaria”
“Solo gli adolescenti si masturbano”
“La masturbazione è legata alla pornografia”
“Se una persona adulta si masturba è un regredito/pervertito”.

Occorre riconoscere quanto questi stereotipi siano errati e pertanto portatori di malessere nel momento in cui vengano introiettati nella coscienza collettiva e nel senso comune. È fondamentale una corretta educazione ed informazione sessuale, priva di censura e malizia che riporti questo aspetto della sessualità alla sua naturale essenza di bisogno fisiologico e psicologico dell’individuo.

Aspetti Psicosessuologici
L’autostimolazione sensoriale vista in un processo evolutivo rappresenta il primo strumento di contatto con il proprio corpo e ne definisce qundi la rappresentazione cognitiva: è il primo mezzo di conoscenza che abbiamo su noi stessi e sul mondo. il bambino infatti esplorando se stesso definisce l'immagine del corpo e in definitiva ne deduce la sua rappresentazione nello spazio esterno. L’associazione dell’autostimolazione genitale al piacere sessuale è successiva, si può parlare allora di masturbazione o autoerotismo che consente la conoscenza delle proprie zone erogene, delle proprie personali esigenze e del proprio corpo come strumento di piacere, elementi fondamentali di conoscenza di Sé, che solo una volta acquisiti potranno poi essere condivisi in una relazione di coppia. Quindi è solo vivendo un buon rapporto con il proprio corpo e con propria sessualità che si riuscirà a viverla serenamente ed in modo soddisfacente anche con un altro individuo!

Bibliografia
Master V.H., Johnson V.E. “L’atto sessuale nell’uomo e nella donna.” Feltrinelli Editore, Milano, 1966.
D. Déttore “Psicologia e psicopatologia del comportamento sessuale.” McGraw-Hill Companies, Milano, 2001.
Barbara Florenzano “l’autoerotismo maschile e femminle” 2003
J. Stengers - A. Van Neck, Storia della masturbazione, introduzione di Francesca Mazzucato, Odoya, Bologna 2009 

martedì 24 settembre 2013

Influenza della cultura cattolica nella concezione dei ruoli sessuali e della sessualità in occidente

Il ruolo della cultura nell’attribuzione di specifici tratti maschili o femminili nella percezione collettiva della sessualità è ormai indiscusso, e ripercorrendo il corso della storia della società occidentale, non si può far a meno di menzionare l’influenza secolare del Cattolicesimo e della religione più in generale. Il rapporto tra sesso e religione è da sempre stato contraddistinto da ambiguità e negazione, il giudizio prevalente della Chiesa vede tutte le attività sessuali come sospette e unicamente necessarie ad assicurare la procreazione. Questo atteggiamento ha da subito condotto alla scissione, prevalentemente nella figura femminile,  tra un sesso volgare e peccaminoso ed un amore virtuoso e casto (la donna è vista come colei che duce e quindi attrae tramite l’arte erotica del suo corpo: nella Bibbia Eva è la peccatrice poiché coglie la mela e si rende conto delle sue nudità), con rapporti sessuali legittimati esclusivamente ai fini del soddisfacimento coniugale e del conseguimento del continuo della stirpe umana. Si deve inoltre all’interpretazione della Bibbia data dalla Chiesa l’implementarsi del senso di colpa legato al sesso e al peccato, non direttamente riscontrabile nelle Sacre Scritture in cui Gesù aveva anzi a che fare soprattutto con prostitute e con la feccia della società ebraica di quel tempo: nella parabola dell’adultera impedisce la sua la lapidazione facendo capire agli ebrei che sono tutti colpevoli di adulterio ed evitando cosi la proiezione della suddetta colpa sull’adultera. Con il “peccato originale” si indica inoltre la colpevolezza di tutti verso tutti, rinforzando questo tema di colpa collettiva e imprescindibile alla nascita. Nello specifico è poi con il potere temporale e la sua politicizzazione che la Chiesa con la distribuzione di colpe e di peccati trovò un notevole mezzo di sottomissione degli uomini al suo erigersi di giudicatore di etica universale.
Va inoltre considerato un altro aspetto subliminale che sottostà alla visione cattolica: sovvertendo l’ordine naturale per cui la creazione invece che a Eva viene affidata ad Adamo rinforza e legittima l’idea del patriarcato e quindi dell’indiscussa supremazia maschile sulla donna.
La visione puritana della religione sulla sessualità ha dominato indisturbata per quasi duemila anni di storia occidentale, arrivando forse all’esasperazione in epoca vittoriana con l’inevitabile conseguenza del fiorire di innumerevoli bordelli e luoghi di perdizione nei centri urbani, necessari per compensare il bisogno istintivo e pulsionale degli uomini che ovviamente non potevano soddisfare con le loro mogli. Veniva cosi rinforzato il concetto per cui le donne di facili costumi e le donne rispettabili appartenessero a due categorie e due mondi completamente distinti dando origine alla dicotomia tutt’oggi presente della “donna santa” e la “donna puttana”. Inoltre negli uomini il comportamento adultero era tacitamente accettato mentre le donne “rispettabili” che osassero esprimere la loro sessualità o fossero colte in comportamenti adulteri erano motivo di grave scandalo sino all’allontanamento dalla società. Esisteva dunque, una vera e propria doppia morale che regolamentava la sessualità tra uomini e donne.
Nel IXX secolo l’approccio religioso fu sostituito da quello medico, che tuttavia inizialmente mantenne un’impostazione alquanto rigida nei confronti del sesso, alcuni medici ad esempio sostenevano che le pratiche sessuali slegate dalla riproduzione, (ad esempio la masturbazione), arrecassero gravi danni alla salute.
Solamente nell’ultimo secolo la società occidentale è arrivata ad una progressiva “liberalizzazione sessuale”, procedendo lentamente verso il cambiamento ed una profonda trasformazione dei codici morali e delle etiche comportamentali sino ad allora celate dietro al velo dello scandalo e del tabù. Nel 1948 e nel 1953 fu pubblicato in America il “Rapporto Kinsey” rispettivamente sul comportamento sessuale dell’uomo e della donna. Mentre nel 1966 il ginecologo William Masters e la psicologa Virginia Johnson pubblicarono il libro “Human Sexual Response” in cui viene affrontato in modo approfondito lo studio della fisiologia ed anatomia sessuale umana.
Ma è solo negli anni Sessanta che ha iniziato ad emergere un atteggiamento radicalmente diverso nei confronti della sessualità, tale da poter essere descritto come una vera e propria rivoluzione. L’invenzione della pillola anticoncezionale del 1960 segna la svolta decisiva nell’emancipazione femminile, svincolando la sessualità da un’ottica di controllo e regolazione della fecondità e procreatività, proiettando invece la donna verso la libertà delle proprie scelte sessuali e liberandosi del peso delle vecchie rigidità sociali e religiose.
In Italia, in particolare la rivoluzione dei costumi sessuali ha subìto un repentino susseguirsi di fasi e di eventi che in soli cinquant’anni hanno condotto ad una situazione sociale radicalmente opposta e in continua evoluzione:

-       L’avvento del femminismo in quegli anni ha contribuito alla rivendicazione dei diritti delle donne con il particolare intento di modificare la divisione dei ruoli maschili e femminili e di rimettere quindi in discussione la gerarchizzazione del potere associata alla differenza di genere.
-       Il 1° dicembre 1970 il divorzio veniva introdotto nell’ordinamento giuridico italiano con la legge n.898 “Disciplina dei casi di scioglimento del matrimonio” (Legge Fortuna-Basini).
-       Il 22 maggio 1975 la legge n.194 che consente alla donna di ricorrere all’Interruzione Volontaria di Gravidanza (IVG) in una qualunque struttura pubblica nei primi 90 giorni di gestazione.

Si assiste dunque al riassestamento dei diritti e dei doveri di uomini e donne: “Io sono mia” (uno degli slogan più espressivi del movimento delle donne) rimandava proprio al processo di riappropriazione del proprio corpo e della propria storia che ispirò il femminismo di quegli anni. La nuova consapevolezza che si alimenta di pari passo al processo di auto-organizzazione della donne, parte proprio dalla necessità di ricominciare dal corpo e dall’importanza simbolica e sociale della sessualità. Questo processo va di pari passo con l’aumento dell’indipendenza economica delle donne che, nonostante continuino a combattere per riappropriarsi della posizione sociale che era stata loro negata per secoli, ha portato ad un progressivo sbilanciamento nella divisione dei ruoli, poiché non è stata accompagnata da una parallelo riadattamento del ruolo maschile. Cosi da una parte gli uomini rimangono orientati sulla soddisfazione personale lavorativa e sul mantenimento economico della famiglia, e dall’altra le donne anch’esse puntano all’autorealizzazione professionale e personale nella società rimanendo comunque legate al compito secolare di moglie, madre e donna del focolare. I compiti domestici vengono raramente divisi tra i partner e questo risulta chiaramente a carico delle stesse che aggiungono ore di lavoro a quello necessario al sostentamento economico. Tutto ciò ha prodotto delle sorte di “super donne” con caratteristiche maschili quali la determinazione e l’orgoglio, la prevaricazione e la combattività che se da un lato possono essere modulate a favore di un’efficace coordinazione della vita, dall’altro hanno creato un profondo disagio nella percezione maschile della donna e di se stessi in relazione alla donna: se la donna è il sesso forte, quale sarà quello debole?
Queste sono alcune delle considerazioni che rovesciano l’immaginario collettivo rispetto ai “ruoli sessuali” e che hanno contribuito all’aumento considerevole di richieste di aiuto rispetto a problemi di coppia di origine relazionale e sessuale, occorre infatti riscoprire il proprio ruolo come persona prima di tutto, entrare in contatto con le proprie emozioni di base e come essere sessuato con il naturale bisogno di essere appagati in una relazionale affettiva e sessuale soddisfacente.


Bibliografia
- “Sessualità e stili di vita: opinioni e comportamenti femminili” Alvisi,
   Gallerani, Garelli 1996
- “Indignate, è arrivato il momento di dire basta” D. Bersani. Newton Compton

Editori 2011

martedì 17 settembre 2013



La sessualità da un punto di vista antropologico-culturale

Analizzando nello specifico le relazioni sociali e le differenze di genere relative a determinate caratteristiche temperamentali “maschili o femminili” e mettendo a confronto diversi modelli culturali appartenenti a differenti contesti etnici e geografici, risulta evidente che una netta differenziazione delle caratteristiche di genere non esita se non come riconducibile alla particolare cultura di appartenenza. Margaret Mead fu la prima ad indagare la relazione tra personalità dominante e il genere sessuale in diverse culture, e con i suoi libri “Sesso e temperamento in tre società primitive” del 1935 e “Maschio e femmina” del 1949 si può inaugurare, a livello antropologico, lo studio delle differenze di genere. La Mead mette a confronto le personalità maschili e femminili di tre popolazioni tribali: gli Arapesh presentano, uomini e donne, una personalità alla quale si può riconoscere carattere materno e femminile, in quanto entrambi sono educati alla collaborazione, alla non aggressività, alla comprensione delle necessità e delle esigenze altrui; in netto contrasto con queste caratteristiche tra i Mundugumur tanto gli uomini quanto le donne si sviluppano in individui duri e crudeli, aggressivi e con un’alta carica sessuale, con gli aspetti materni ridotti al minimo. Entrambi i sessi si avvicinano ad un tipo di personalità che nella nostra cultura può essere rappresentata tipicamente in un maschio violento e senza morale. In entrambe queste culture non vi è alcun contrasto tra i sessi, in quanto la mitezza o l’aggressività appartiene ad ambedue i componenti della tribù senza distinzione alcuna. Nella terza tribù, i Ciambuli, infine, la Mead riscontra un vero e proprio rovescio della nostra cultura, con la donna in veste di partner dominante, direttivo, impersonale, e l’uomo nella posizione di minore responsabilità e di soggezione sentimentale.

Queste tre situazioni diverse e contrastanti suggeriscono in maniera molto chiara che quegli elementi che noi per tradizione consideriamo femminili, come la passività, la sensibilità o la propensione a curarsi dei bambini, possono, in una tribù, entrare a far parte delle caratteristiche maschili, in un’altra non appartenere ne agli uomini ne alle donne, e cosi altrettanto per gli elementi caratteriali che invece consideriamo prettamente maschili, portando quindi alla logica conclusione per cui occorre considerare ogni caratteristica temperamentale che influenzi la scelta di ruolo come necessariamente slegata dal sesso biologico.

Bibliografia
 “Antropologia Culturale” E. A. Schultz, R. H. Lavenda, Zanichelli, 2006

Lo sviluppo sessuale: influenza dei fattori genetici e ambientali

Lo sviluppo dell’identità sessuale di un individuo è un evento che ha origine da complesse ed intersecate relazioni tra il suo corredo genetico ed il suo esplicitarsi in un ambiente sociale e culturale esterno che ne indirizzerà in prevalenza lo sviluppo verso un particolare modello soggettivo di rappresentazione interna.
Il sesso cromosomico individuale è determinato al momento stesso della fecondazione. Tuttavia inizialmente le differenze sessuali sono pressoché nulle ed elicitate invece da una catena di eventi a cascata che dai geni, agli ormoni, alla struttura e funzione del cervello, portano al dimorfismo sessuale e comportamentale. Infatti nella specie umana, la differenziazione sessuale inizia solo dopo la sesta settimana di gestazione, e fino a quel momento il feto è bisessuale ed evolve la sua definizione attraverso un procedimento che interessa il sistema neuroendocrino, a partire dal sesso genetico (XX e XY). Il programma di base della natura è predisposto per creare una femmina: l’embrione geneticamente maschio per potersi sviluppare come tale, deve sopprimere il programma di base tramite l’attivazione di un processo di defemminizzazione neuroendocrina, e quindi tramite l’induzione di un programma di mascolinizzazione, attraverso l’azione di un gene presente sul cromosoma Y, chiamato SRY (sex determinating region on the chromosome Y) responsabile dello sviluppo dei testicoli. Non è chiaro come il feto maschile riesca a convertire il programma di base, e tra l’altro non pare che sia il testosterone a realizzare la conversione bensì un ormone femminile, l’estradiolo, opportunamente modificato in testosterone. In effetti non esistono ormoni sessuali solo maschili o solo femminili, in quanto il testosterone è presente anche nelle femmine, seppur in quantità inferiori, analogamente agli estrogeni presenti nel circolo ematico dei maschi. Di fatto, il cervello ha nei due sessi, lo stesso numero di recettori per tutti gli ormoni sessuali e tutte queste interazioni rendono difficile il compito di definire una differenza netta nel comportamento sessuale di uomini e donne.
In ogni caso a partire dalla sesta settimana inizia il processo di differenziazione sessuale, che avrà il suo periodo critico tra l’undicesima e la diciassettesima settimana, e riguarda oltre che l’apparato sessuale interno ed esterno anche le strutture del sistemo nervoso in generale, che ne sostengono le diversità.
Negli ultimi anni, grazie allo sviluppo di nuove tecnologie di neuroimmagine (PET e fMRI) è stato possibile migliorare la comprensione delle differenze biologiche tra i sessi (su modello animale), per quanto concerne attività, struttura e biochimica del cervello: in giovani ratti maschi adulti è stata mostrata una relazione diretta tra il livello di testosterone nel sangue e l’attività sessuale, e la castrazione riduce l’attività sessuale al pari della diminuzione del testosterone. Analogamente si nota un comportamento molto simile nelle femmine adulte di ratto, dove gli estrogeni ed il progesterone svolgono un ruolo attivo nella stimolazione dell’attività sessuale, coincidente con l’estro, il periodo fertile in cui si ha l’ovulazione.
Nei primati, quali i giovani macachi, non è stata invece riscontrata una correlazione cosi diretta tra la stimolazione neuroendocrina e la messa in atto di comportamenti sessuali: infatti se si sterilizza un macaco maschio che si è accoppiato più volte si nota una riduzione molto  limitata dell’attività sessuale anche se il testosterone subisce un netto calo nella concentrazione ematica. Le stesse considerazioni possono essere fatte per le femmine, la cui attività sessuale non coincide necessariamente con l’estro. Quello che si evince dall’osservazione del comportamento sessuale dei macachi è che questo sia legato più alla formazione di coppie e legami sociali piuttosto che alla concentrazione ematica degli ormoni. Appare quindi evidente come in specie più evolute e complesse l’attività sessuale sia svicolata dal controllo diretto degli ormoni sessuali, perché l’influenza dei centri corticali superiori prevale su quella dell’ipotalamo.
È quindi interessante notare come il comportamento della nostra specie si sia evoluto a partire da semplici schemi automatici, sotto il controllo di strutture cerebrali più primitive risiedenti nel tronco dell’encefalo, quali appunto l’ipotalamo e ed altre aree limbiche, per poi aumentare progressivamente la complessità delle sue strutture corticali e delle interazioni che esse stabiliscono con l’ambiente circostante, divenendo in ultimo un tutt’uno nella concausa dello sviluppo di un determinato comportamento specie-specifico (in questo caso la risposta sessuale).
È quindi inscindibile nello sviluppo dell’identità sessuale di un individuo l’influenza, oltre che degli eventi genetici prenatali appena considerati, di tutto il corredo comportamentale e dalle aspettative postevi sopra dal contesto sociale e ambientale  in cui l’individuo nasce, cresce e sviluppa la sua personalità soggettiva. Infatti, lo sviluppo corticale necessario all’elaborazione delle informazioni e alla consolidazione di specifici modelli e schemi di rappresentazione cognitiva rispetto a se stessi e al mondo, verranno fortemente influenzati dalla rete sociale in cui il soggetto è inserito fin dalla nascita. Già la stessa attribuzione di uno specifico sesso data dalla conoscenza del genere crea un’aspettativa che condizionerà come il neonato verrà educato, quali relazioni e condizioni sociali sperimenterà ed altri tipi di esperienze che in ultimo rinforzeranno l’attribuzione primaria del genere sessuale. In un certo senso si può affermare che il sesso biologico è anch’esso una “costruzione sociale”.

È quindi necessario sottolineare che una corretta interpretazione dei processi di sviluppo del sesso e del genere potrà emergere chiaramente solo da una visione d’insieme delle interazioni esistenti tra tutti i fattori genetici ed ambientali, biologici e socioculturali, interni ed esterni all’individuo.

Bibliografia

“Fisiologia del comportamento” N. R. Carlson. Piccin 2002
 “Sexing the brain” L. Rogers The Guernsey Press Co Ldt, GB 1999
 “Psiconeuroimunologia” F. Bottaccioli, Red Edizoni, Novara, 1995
 “Genere, sesso, cultura” M. Busoni Carocci Editore, Roma 2000

venerdì 13 settembre 2013

Basi neurobiologiche dell’attaccamento nel corso della vita: ruolo dell’ossitocina

La complessità dell’organizzazione dell’organismo umano, inteso come sistema aperto, rende possibile il costante apprendimento di nuovi dati che compongono la memoria di ciò che siamo e sappiamo sul mondo. Questo sistema è inoltre multi-componenziale poiché, a partire da processi fisici organizzati in circuiti neurobiologici, ciò di cui noi abbiamo effettivamente esperienza è composto da processi di tipo affettivo e cognitivo, da sensazioni e percezioni che consentono lo sviluppo di una coscienza emotiva ed in ultimo l’organizzazione in schemi e modelli di funzionamento dell’intera gamma di comportamenti che compongono lo spettro degli ambiti relazionali umani.
Sebbene la diretta relazione che intercorre tra i circuiti neurobiologici e gli emergenti processi cognitivi ed emotivi non sia ancora del tutto chiara, un crescente interesse sull’argomento ha portato a notevoli avanzamenti nella comprensione della relazione mente-cervello. Gli studi neurobiologici e psicobiologici hanno portato alla conoscenza della maggior parte dei circuiti neuronali sottostanti ai più disparati processi emotivi, cognitivi e comportamentali che nel loro insieme compongono il sistema “uomo”. Si è inoltre arrivati alla comprensione di come tali processi siano in costante relazione con l’ambiente esterno, che in particolare per l’essere umano è costituito principalmente dall’ambiente sociale, grazie al quale si sviluppano a pieno le proprietà emergenti, per l’appunto, dalla potenzialità della base biologica, emotiva e cognitiva.
Appare dunque evidente la stretta relazione che lega il processo di sviluppo sano di un individuo al suo ambiente di accudimento primario, e mette in luce il ruolo della figura di riferimento del bambino, il caregiver, come regolatore esterno dei processi emotivi e cognitivi, e quindi dell’organizzazione psicobiologica interna del bambino. Si può quindi affermare che l’attaccamento sociale, innato negli esseri umani, è in grado di modulare lo sviluppo cerebrale: una volta che questi circuiti si sono consolidati in determinati patterns di organizzazione psicobiologia, essi andranno ad influenzare il successivo comportamento sociale ed affettivo dell’adulto.
L’ossitocina sembra essere il neuropeptide che media le diverse tipologie di relazione d’attaccamento nelle sue distinte componenti attraverso le diverse fasi evolutive. Il coinvolgimento dell’ossitocina nelle diverse forme di attaccamento che si verificano durante tutto il ciclo vitale, da quello infantile a quella di coppia a quella genitoriale, ha sollevato l’ipotesi dell’esistenza di un unico circuito neuronale, già presente alla nascita, in grado di regolare le diverse tipologie di attaccamento presenti nelle varie fasi dell’esistenza, sulla base del contesto sociale ed endocrino (Marazziti et all. 2008).
Nelle ultime fasi di gestazione i livelli di ossitocina aumentano in modo considerevole, agendo in prevalenza sulla mammella e sull’utero. Durante il travaglio ed il parto provoca, infatti, le contrazioni delle fibrocellule muscolari lisce uterine, favorendo l’espulsione del feto. Invece durante l’allattamento la suzione del bambino sul capezzolo stimola il rilascio di ossitocina e prolattina, che a loro volta favoriscono la contrazione della muscolatura liscia attorno alle ghiandole mammarie, aumentando l’eiezione del latte. In questa fase sia madre che bambino sono in condizioni fisiologiche di ossitocina aumentata, ed è per questo che è plausibile supporre che questa possa rendere conto della natura biologica sottostante la creazione di quel profondo e solido legame che caratterizza le relazioni d’attaccamento tra madre e figlio: la mancanza di cure materne sembra alterare il normale sviluppo del sistema dell’ossitocina in bambini neonati (Marrazziti et al. 2008).
 È stato riscontrato un aumento significativo dei livelli di ossitocina nel flusso ematico a seguito dei rapporti sessuali dando supporto all’ipotesi che questa contribuisca, sinergicamente alla dopamina, alle funzioni di rinforzo di stimoli naturali, come il sesso, e quindi alla formazione di legami duraturi tra partner. Sia nei mammiferi maschi che femmine di diverse specie, l’ossitocina è importante nell’indurre il comportamento sessuale, l’eccitamento e l’orgasmo.
Anche negli esseri umani è stato mostrato un aumento di ossitocina nel plasma durante l’eccitazione sessuale, l’eiaculazione o l’orgasmo, similmente all’incremento mostrato dai roditori durante l’accoppiamento. (Caldwell, Young 2006). La sessualità umana si può essere evoluta per promuovere il legame di coppia attraverso l’implementazione dei comportamenti che massimizzano la frequenza e il grado di ossitocina rilasciata: l’intimità sessuale riproduce a livello fisiologico le basi neurali del parto e dell’accudimento primario, aumentando appunto il rilascio di ossitocina, e questo può servire a rafforzare il legame tra uomo e donna, dando inoltre supporto all’ipotesi dell’esistenza di un unico circuito psicobiologico implicato nei meccanismi sottostanti alla cementazione di un rapporto di coppia, ed emergenti a partire dai pregressi meccanismi sottostanti al legame tra madre e figlio.
Evidenze a favore della relazione tra le esperienze precoci di vita e alterazioni del sistema di ossitocina provengono da studi sui macachi rhesus adolescenti allevati a contatto con caregivers umani, che mostravano una più bassa concentrazione di ossitocina nel loro fluido cerebrospinale rispetto a quelli allevati dalla propria madre. Uno studio recente suggerisce un fenomeno simile anche negli esseri umani: infatti donne che hanno subito degli abusi o dei maltrattamenti nell’infanzia, hanno una concentrazione significativamente più bassa di ossitocina nel fluido cerebrospinale rispetto a donne che non riportano alcuna storia di abuso infantile (Ross, Young 2009). Questo dato fornisce ulteriori conferme del fatto che, come nei mammiferi non umani, le interazioni genitoriali precoci possono avere conseguenze stabili nel sistema regolato dall’ossitocina, che quindi influenzerà la cognizione sociale adulta e la capacità di instaurare relazioni significative tra partners.
In uno studio pubblicato nel 2009, Ditzen e colleghi hanno analizzato l’effetto della somministrazione intra-nasale di ossitocina in coppie durante una discussione conflittuale. Il campione è stato diviso in due gruppi cui è stata somministrata ossitocina oppure un placebo. I risultati riportati mostrano come l’ossitocina aumenti la durata di comportamenti positivi rispetto a quelli negativi durante la discussione tra partners, ed inoltre riduce il livello salivare di cortisolo a seguito del conflitto, sia negli uomini che nelle donne. Questo è in accordo con l’ipotesi che il sistema di regolazione dell’ossitocina, nelle sue varie componenti di modulatore delle emozioni, dello stress e dei rapporti sociali, è un potente predittore dell’esito positivo di una relazione a lungo termine, nonché del sostanziale benessere psicofisico dell’essere umano, e non solo.
È quindi intuibile la relazione che intercorre nel continuum del sistema di attaccamento mediato dall’ossitocina e la garanzia di un benessere modulato dalla relazione con gli altri, ed in particolare dal rapporto di coppia, come capacità intrinseca di gestione delle emozioni della comunicazione e del conflitto, e attraverso una riduzione dell’attivazione del sistema fisiologico dello stress.





martedì 10 settembre 2013

L’Attaccamento nel corso della vita: la relazione di coppia

La ricerca di un legame d’attaccamento privilegiato e selettivo con un’altra persona, ovvero di un legame emotivo dal quale derivi un senso di sicurezza individuale e che sia garante di un benessere psicologico, sembra costituire il primo motore che spinge l’individuo adulto ad impegnarsi in una relazione di coppia (Cutrona 2004, Obegi e Berant 2009). È, infatti, caratteristica degli esseri umani la necessità di un senso di condivisione di quello che di più intimo ci appartiene, ossia la condivisione delle emozioni e degli affetti più profondi che costellano la nostra esperienza come persone e il nostro viver quotidiano.
Come il bambino che attraverso la madre sviluppa e organizza la regolazione delle emozioni, che permette lo strutturarsi di una coscienza emotiva su sé stesso e sul mondo, così l’adulto ha necessità di instaurare dei legami significativi che gli permettano di dare un senso di continuità e coerenza alla propria esistenza. Il legame con il partner fa sì che ci si assicuri il bisogno di regolare le proprie emozioni in una diade, ricostituendo quella specifica  configurazione in cui le dinamiche affettive e le esigenze primarie di sicurezza vengono appagate dal rapporto con l’altro.
La continuità del bisogno di relazione sembra quindi un principio regolatore di tutta l’esistenza, e risponde a bisogni di continua stimolazione affettiva e cognitiva, che sulla base di determinati circuiti funzionali regolati al livello psicobiologico, potranno avere differenti esiti a seconda di come si sono strutturati a partire dalla prima infanzia e nel corso del successivo sviluppo dell’individuo.

 Continuità e cambiamento

Bowlby (1979) sosteneva che l’attaccamento fosse un sistema motivazionale che ci accompagna “dalla culla alla tomba”, mettendo in risalto la continuità del bisogno primario di relazione con un'altra persona che sia fonte di sicurezza e stabilità, lungo tutto il corso del ciclo vitale. Egli considerava la relazione madre-bambino e la relazione tra partner adulti dello stesso tipo, poiché entrambe caratterizzate dalle stesse funzioni e pattern comportamentali riscontrati nell’attaccamento infantile: nelle relazioni di coppia, si assiste alla ricerca di prossimità e contatto fisico, nonostante questo sia inizialmente congiunto all’attrazione sessuale, che nell’adulto diventa nel tempo garante di vicinanza emotiva e sostegno psicologico; continua, inoltre, a sussistere la protesta alla separazione, con stati d’ansia e angoscia all’allontanamento del partner; infine la funzione di rifugio sicuro e base sicura sembrano essere una costante nella percezione che un partner ha dell’altro, ossia la formazione di un legame che funga da “nicchia sicura”, che cioè da una parte protegga da situazioni di disagio e stress, e dall’altra dia la possibilità di conseguire le proprie aspettative di autoaffermazione nel mondo esterno, e di continuare il processo maturativo di differenziazione dell’individuo.
Questa sorta di continuità nel sistema d’attaccamento, dall’infanzia all’età adulta, ha dato luogo allo sviluppo dell’ipotesi prototipica, che postula, per l’appunto, una sostanziale rigidità e fissità degli schemi internalizzati nelle prime esperienze affettive, che continuano a modulare le esperienze relazionali lungo tutto il corso del il ciclo vitale. Così i modelli operativi interni fungono da filtri dell’esperienza, influenzando i processi cognitivi ed affettivi ed agendo come attributori di significato, condizionando in ultimo la risposta comportamentale messa in atto dall’individuo.
Ad ogni modo, è naturale che una totale sovrapposizione dei modelli di relazione “adulta versus infantile” è da considerarsi inadeguata, poiché elementi di discontinuità e cambiamento sono  parte integrante del processo evolutivo. In primo luogo si passa dal rapporto asimmetrico madre-bambino alla sostanziale simmetria e reciprocità della relazione tra adulti, bidirezionalità che si espleta nelle funzioni alternate di caregiving e carseeking: essere oggetto di dipendenza e al tempo stesso dipendente dall’oggetto, ossia fornire cure quando richiesto e chiederne quando se ne ha bisogno (Carli, Cavanna, Zavattini 2009).
In secondo luogo, va considerato il processo di plasticità e adattamento che comporta nell’essere umano la capacità di revisionare e ristrutturare i precedenti schemi, o modelli interni, a seguito di nuove e significative esperienze, durante l’intero arco di vita. Molti studi ipotizzano, infatti, la presenza di più modelli operativi, che operano in un sistema gerarchico a seconda della specificità del contesto e della relazione in questione.
Infine, particolare attenzione va posta ai sistemi motivazionali che s‘intrecciano nel dare forma alla peculiare relazione che si instaura nel rapporto di coppia e che la differenziano da tutti gli altri rapporti e coinvolgimenti emotivi che compongono lo spettro delle relazioni sociali umane. Questi sistemi comprendono l’attaccamento, l’accudimento e la sessualità.

Sistemi motivazionali nell’attaccamento di coppia

 Le molteplici dimensioni dei sistemi motivazionali interagenti nella formazione dei legami amorosi, che comprendono appunto l’attaccamento, l’accudimento e la sessualità, concorrono nella creazione delle complesse combinazioni che contraddistinguono ogni rapporto di coppia come una diade a sé stante, con la sua particolare dinamica intersoggettiva che ne definisce il “Senso del Noi” (Norsa, Zavattini 2009). I diversi sentimenti sperimentabili in una relazione andrebbero letti alla luce delle caratteristiche e dell’intreccio di questi tre sistemi, nonché come conseguenza dell’incastro o matching dei MOI appartenenti a ciascun membro della diade.
L’accudimento concerne una vasta gamma di comportamenti che risultano complementari ai comportamenti di attaccamento nel bambino, e che hanno l’obiettivo principale di fornire protezione. Anche negli adulti questo sistema è strettamente legato al sostegno dato al partner nei momenti di bisogno, al fine di favorire il senso di vicinanza emotiva e di conforto in situazioni che sono fonte di  stress e difficoltà. È quindi la capacità di offrire al proprio compagno quel rifugio sicuro, rispondendo con sensibilità, flessibilità e appropriatezza al disagio manifestato dal partner richiedente rassicurazione e conforto. Questo sistema è strettamente legato al sistema dell’attaccamento, si può dire che questi rappresentino le “due facce della stessa medaglia”, in quanto è proprio la bidirezionalità e bilanciamento del comportamento di caregiving e di careseeking che costituisce il nucleo della base sicura in una relazione di coppia.
La sessualità rappresenta il sistema motivazionale e comportamentale che sembra contraddistinguere maggiormente le relazioni di attaccamento romantico dalle relazioni di attaccamento infantile. Nonostante questo, già al suo tempo, Freud fu il primo a individuare delle sorprendenti similitudini tra coppie di amanti e coppie madre-figlio per ciò che concerne l’intimità fisica. In particolare, all’inizio di una relazione, i partner sessuali spendono la maggior parte del tempo impegnati in un reciproco guardarsi negli occhi, abbracciarsi teneramente, e baciarsi con un prolungato contatto faccia a faccia, in maniera simile a come si comportano le diadi madre-bambino. Si è inoltre riscontrata la presenza, nelle coppie di amanti, di un linguaggio abbastanza simile al baby-talk.
Molti studi evidenziano la presenza degli stessi circuiti neurobiologici sottostanti alla modulazione del comportamento d’attaccamento madre-figlio e del comportamento sessuale tra partner. L’ossitocina è un neuropeptide rilasciato sia nelle ultime fasi della gravidanza, nel parto e nell’allattamento, sia nella fase di massima tensione sessuale durante l’amplesso degli amanti.
L’attrazione sessuale sembra essere il primo fattore scatenante nella formazione di un legame di coppia, e molti studiosi, al di là delle componenti edoniche e delle finalità evoluzionistiche della specie, considerano la sessualità come funzionale all’attaccamento, poiché stimola la ricerca del contatto con l’altro e alimenta il mantenimento del legame. L’attrazione sessuale aiuta a garantire che gli adulti cercheranno e manterranno la prossimità agli individui a cui potranno diventare attaccati.
L’equilibrio dinamico fra questi tre sistemi motivazionali garantisce un corretto funzionamento della coppia e lo sbilanciamento verso un polo, quale può essere quello determinato da una particolare fase del ciclo vitale, come ad esempio la nascita di un figlio, che può comportare una diminuzione dell’attivazione del sistema sessuale e di attaccamento in funzione dell’aumento del sistema di accudimento verso un terzo, che può portare la coppia a momenti di crisi, in cui l’aspetto più critico riguarda proprio la capacità di ripristinare un corretto bilanciamento dei tre sistemi.
La riuscita di un rapporto di coppia dipende quindi dalla capacità di regolazione emotiva della diade che comporta un continuo monitoraggio affettivo rispetto alle esigenze dei due partner di mantenere un equilibrio dinamico tra i sistemi motivazionali  coinvolti nella relazione. Un fattore particolare che influenza questo processo è rappresentato dal particolare incastro dei MOI dei due partner, che determinerà lo stile relazionale, la competenza comunicativa e la capacità di gestione del conflitto messi in atto nella diade (Castellano, Velotti, Zavattini 2010).

 MOI e attaccamento nella coppia

L’incrocio dei modelli rappresentazionali dei due partner produce una gamma di combinazioni dagli esiti relazionali diversificati (Cavanna 2009):

-       Matching sicuro-sicuro: sono coppie contraddistinte da flessibilità e interindipendenza emotiva, con modalità relazionali improntate a riflessività e coerenza, i partner affrontano il tema degli affetti con realismo e consapevolezza esprimendo capacità di modulazione e regolazione affettiva, sapendo gestire il conflitto in maniera propositiva e propulsiva alla crescita individuale e della coppia.

-    Matching sicuro-insicuro: è una relazione potenzialmente in grado di costituire un esperienza emozionalmente correttiva dello stato mentale del partner insicuro, ma evidenze empiriche riscontrano una diversità degli esiti a seconda del genere sessuale del partner insicuro, infatti la riorganizzazione dei propri schemi disadattivi avviene con più facilità quando il partner insicuro è la donna.

-  Matching insicuro-insicuro:  sono coppie in cui emergono forti aspetti di insoddisfazione, conflittualità e difficoltà, ma che presentano paradossalmente vari gradi di adattamento diadico e diversi pattern caratteristici in funzione del tipo di incastro e di stile d’attaccamento insicuro dei partner: 

 Distanziante/distanziante > i bisogni di accudimento, dipendenza e vulnerabilità sono in buona parte negati. L’enfasi è posta sull’indipendenza ma risultano disregolati sul piano emotivo, evitano il conflitto.                
Preoccupato/preoccupato > amplificano i bisogni di accudimento e vicinanza anche se questi non sono mai del tutto “saturabili”, entrano spesso in disaccordo e in conflitto con atteggiamenti di rifiuto reciproco.
 Distanziante/preoccupato > presentano una difficoltà di sintonizzazione e regolazione reciproca, i livelli di conflitto possono essere elevati ed è particolarmente bassa la soddisfazione tra i partner. Ciononostante sono coppie la cui stabilità è paragonabile a quella delle coppie caratterizzate da pattern di attaccamento sicuro.

L’evidenza della stabilità di legami percepiti come insoddisfacenti dagli stessi componenti della coppia porta alla riflessione sul tema dell’uso dell’altro, che può essere di tipo propulsivo, teso verso una crescita personale tramite l’integrazione di parti di sé all’interno di una matrice intersoggettiva composta appunto dalla diade, o al contrario di tipo collusivo dove l’altro diventa l’estensione delle parti negate, proiettate e scisse della propria identità. In questo modo la relazione diventa una forma di difesa per la propria integrità psichica, di cui si ha necessità per mantenere una costante ed una coerenza interna che dia una sorta di continuità con i modelli interiorizzati a partire dalle prime esperienze relazionali affettive e di attaccamento, anche se negative (Norsa, Zavattini 2009).