Elena Cossu

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Roma, Roma, Italy
Psicologa iscritta all'Ordine degli Psicologi del Lazio con N° 19999. Psicoterapeuta Gestalt Analitica presso Il Centro Studi Psicosomatica, (CSP,IGA) Ha conseguito la Laurea Magistrale in Neuroscienze Cognitive e Riabilitazione Psicologica presso l'Università degli studi di Roma La Sapienza. Ha svolto un Master biennale in Sessuologia Clinica e Criminologica presso l'Associazione Italiana di Sessuologia Clinica.

giovedì 15 maggio 2014

L’Altra Faccia della Violenza: Modello Circolare Vittima-Carnefice


   “Gli esseri umani non attraggono quello che vogliono ma quello che sono” James Allen

Ogni relazione amorosa si basa sull’incastro, più o meno funzionale, delle esigenze e dei bisogni di due individui. Questi bisogni, spesso inconsci, trovano nella relazione con l’altro la possibilità di essere soddisfatti e pertanto tendono anche a riconfermare i primi modelli di funzionamento globale della persona, acquisiti nella prima infanzia. Come è stato più volte sottolineato, le relazioni di attaccamento primarie determinano con molta probabilità lo stile relazionale che una persona metterà in atto in età adulta. (Bowlby, Ainsworth) Pertanto una persona che ha ricevuto amore e fiducia ed una adeguata risposta alle sue esigenze primarie è probabile che instaurerà relazioni future improntate sull’amore e il rispetto, viceversa chi da bambino ha sperimentato una relazione primaria di insicurezza, e di non risposta adeguata ai propri bisogni con molta probabilità tenderà a mettere in atto modelli comportamentali tesi a risperimentare quel tipo di relazione, che se pur  insoddisfacente è l’unica conosciuta fino a quel momento e l’unica in grado di dare quella garanzia di prevedibilità e, di conseguenza di sicurezza.
Nell’ambito delle relazioni patologiche va considerata come tra le più rischiose quella di dipendenza patologica che si instaura all’interno di un modello circolare vittima-carnefice:
Il potere è suddiviso tra le parti in maniera subdola, fintamente iniqua, ma la dipendenza è reciproca, il mantenimento degli equilibri è un gioco a due, finemente mascherato dai ruoli appunto suddivisi di “vittima e carnefice”.  Poiché non può esistere l’uno senza l’altra non vi è reale indipendenza tra le parti non vi è sovranità e sudditanza ma co-dipendenza reciproca di conferma del modello.
Il modello primario di assenza di valore, di vuoto interiore, di giudizio persecutorio, la necessità di assumersi colpe acquisite e ricercate nuovamente per dare sfogo all’incessante forza dell’Io di perpetuare Sé stesso. L’unico Sé fino a quel momento possibile, l’unico Sé fino a quel momento conosciuto.
Ora, in questo momento storico il femminicidio è all’ordine del giorno o meglio lo è il suo essere protagonista delle prime pagine delle cronache dei giornali. Il fenomeno non è in crescendo lo è soltanto il suo essere reso oggetto di dominio pubblico, fenomeno mediatico strumento di manipolazione, come la televisione che nel riportare con morboso dettaglio l’accaduto, suggerisce quindi comportamenti specifici ed  indirettamente amplifica il fenomeno.
Non è un caso l’associazione che viene spesso fatta quando si parla di violenza e abusi su donne e bambini. Donne e bambini. Come se queste due categorie di individui fossero sovrapponibili per una qualche caratteristica comune, nell’immaginario collettivo solitamente rappresentata dalla debolezza. Ma va necessariamente sottolineata invece l’enorme e sostanziale differenza per cui non credo si possano sovrapporre queste due categorie, sebbene entrambe designate come vittime. Non credo questo sia vero, in quanto ciò che contraddistingue l’essere una vittima è la totale assenza di potere, il completo assoggettamento ad un altro individuo o forza maggiore, cui è impossibile far fronte in qualunque modo. Analizzando nel dettaglio quanto appena affermato, è evidente che l’unico a poter essere veramente descritto da queste caratteristiche è il bambino. Non la donna. La donna è un individuo adulto in grado di scegliere, di modificare la propria esistenza. Va fatta una doverosa precisazione: è vero che una donna è fisicamente più debole di un uomo e può quindi difficilmente contrastare un attacco di tipo violento, fisico o sessuale, ma è vero che se non può reagire la prima volta che inaspettatamente le accade di essere aggredita, è vero che può scegliere se perpetuare quella situazione oppure no. La difficoltà sta spesso nell’incapacità di accettare di vedere che vittima lo si è primariamente di sé  stesse: una donna vittima è anche una donna carnefice, in quanto si mette nella condizione di essere vittima delle proprie scelte, della propria impotenza. L’impotenza che deriva dall’inconscia e profonda convinzione di meritare quello che si sta cercando. La proiezione nell’altro che si manifesta come carnefice, giudicante e svalutante, è l’immagine che la donna porta dentro di sé nel suo più profondo essere. E tutto questo come abbiamo visto all’inizio è determinato da modelli del Sé insicuri, dall’attaccamento a figure genitoriali che non sono state in grado di dare la base per la strutturazione di un carattere forte, inteso come coerente con le sue parti, consapevole del suo valore, degno di amore e appartenenza.
Occorre sempre guardare alle due facce di ogni cosa poiché è sempre nel riconoscimento dell’opposto che si trova la possibilità dell’equilibrio, perché senza vedere l’ombra non si può riconoscere nemmeno la luce. E cosi nella vittima occorre identificare il carnefice nascosto, quello che non le permette di distaccarsi dal carnefice esterno, su cui ha scelto di proiettare questo suo lato. Non si scelgono a caso le persone con cui intraprendere relazioni e se la violenza è inaccettabile lo deve essere primariamente quella che va contro di Sé.
È necessario un lavoro su due fronti. Un lavoro sull’educazione emotiva a priori dal genere, che favorisca il ripristino degli equilibri interni, che riporti l’emozione di base a poter essere espressa. Da ciò scaturisce il bisogno di essere riconosciuti come esseri degni di amore e di valore. Una riconnessione con le parti profonde del Sé che possano riportare alla scelta consapevole di una vita improntata alla ricerca del benessere e pertanto di persone che rispecchino e rispondano pienamente a questi bisogni primari, e che ci portino in ultimo alla soddisfazione reale come Esseri Umani.

Dott.ssa Elena Cossu, Psicologa Psicosessuologa


Photo: Rebecca Cataldo Photographer
Mostra Fotografica: "Il silenzio che ferisce"